La transizione dei Mac verso i SoC sviluppati da Apple avverrà a partire dalla fine del 2020, ma il Developer Transition Kit – un Mac Mini dotato di Apple A12Z Bionic e 16GB di RAM – è già nelle mani degli sviluppatori che devono adattare le proprie applicazioni alla nuova piattaforma.

Grazie a ciò abbiamo potuto scoprire il rendimento del SoC – lo stesso che troviamo su iPad Pro 2020 – alle prese con il sistema di virtualizzazione Rosetta 2, il quale permette di eseguire qualsiasi applicazione macOS già esistente anche sui Mac con chip sviluppato da Apple.

I risultati dei primi benchmark ci hanno mostrato in che misura il processo influisca sulle prestazioni del SoC; i punteggi ottenuti sulla versione virtualizzata di Geekbench 5 ci mostrano valori di 833 punti in single core e 2.582 in multi core, i quali si distaccano sensibilmente da ciò che è possibile ottenere nativamente su iOS.

I dati riportati nella nostra recensione di iPad Pro 2020, infatti, ci mostrano ben 1.119 punti in single core, 4.665 in multi core e 9.625 nel test GPU. Oggi però abbiamo la possibilità di confrontare questi valori con quelli ottenuti da un secondo benchmark del Developer Transition Kit; parliamo di un test svolto con una versione di Geekbench 5 eseguita nativamente su macOS 11 Big Sur e piattaforma A12Z Bionic. Ecco i risultati:

Come potete notare dalle tabelle, i punteggi ottenuti questa volta sono molto vicini a quelli registrati su iOS. Parliamo infatti di 1.098 punti in single core e 4.555 in multi core. Stupisce, invece, il punteggio fatto registrare nel test Compute dedicato alla GPU, il quale straccia il risultato ottenuto da iPad Pro e ci mostra un valore di 12.610.

Insomma, l’esecuzione nativa del benchmark ci permette di confermare che Apple A12Z Bionic mantiene (e in alcuni casi migliora) tutte le prestazioni di alto livello a cui ci aveva abituato in ambito iOS. Per fare un confronto in casa Apple, vi segnaliamo che un MacBook Air con processore Intel Core i5 ottiene 1.160 punti in single core e 2.950 in multi core. Ricordiamo che il primo Apple Silicon dovrebbe essere una soluzione 12 core molto più avanzata e performante di A12Z Bionic.

I più attenti si saranno posti due domande: come è stato possibile eseguire nativamente Geekbench 5 sul Developer Transition Kit? Per quale motivo, alla voce Model, viene riportato il nome “iPad Pro 11” e non quello del Mac Mini? La risposta a queste due domande arriva da Steve Troughton-Smith, il quale ha spiegato su Twitter come sia possibile convertire qualsiasi applicazione iOS e iPadOS in pochi passaggi per eseguirla nativamente su un Mac con SoC Apple.

Smith spiega che grazie al reinserimento di alcuni framework precedentemente rimossi da macOS (come OpenGLES e varie classi come UIWebView) e reintrodotti con Big Sur, è ora possibile fare in modo che le applicazioni iOS e iPadOS vengano eseguite nativamente senza alcuna modifica al codice; lo sviluppatore deve semplicemente abilitare la compatibilità con macOS in fase di compilazione.

Intervenendo in questo modo si avrà la possibilità di eseguire il porting delle app senza il minimo sforzo, anche se questo non è il procedimento migliore. Le applicazioni convertite in questo modo verranno portate a credere di essere eseguite su un iPad Pro con iPadOS 14 (motivo per cui Geekbench rileva quel dispositivo e non il Mac) e questo limiterà le possibilità di ridimensionamento e di orientamento della finestra di lavoro.

In assenza di ottimizzazione, infatti, le applicazioni per iPad potranno essere eseguite in finestre che imitano gli orientamenti in landscape o portrait, ma nessuna soluzione intermedia che possa rovinare l’interfaccia di base (se l’app supporta la possibilità di essere ridimensionata è possibile farlo anche su macOS, ma occorre comunque effettuare modifiche al fine di evitare comportamenti inattesi dell’interfaccia), mentre le app per iPhone verranno eseguite in finestre ridotte. In questo caso è anche impossibile assegnare gesture personalizzate tramite il trackpad multi touch.

Insomma, è chiaro che il lavoro per spostare le applicazioni da un sistema operativo all’altro è senza dubbio molto più semplice e immediati di quanto si potesse inizialmente immaginare, tuttavia è richiesta una buona dose di lavoro affinché il risultato finale possa funzionare correttamente anche in ambiente desktop.